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La Terza Via del Cesena passa per un ‘tecnico’.
La nomina di Augusto Balestra di Orienta Partners ad amministratore delegato dell’Ac Cesena non è solo un’operazione di garanzia.
E, soprattutto, non deve essere sottovalutata come mossa della new.co Cesena & Co. per iniziare a ‘penetrare’ anche nelle maglie della spa.

Perché Augusto Balestra non è un ariete che debba fare da testa di ponte a qualcuno, come alcuni sostenevano già da ieri, né un capro espiatorio, rimanendo in tema di ovini: il piano di Orienta Partners è la ragione per cui, probabilmente, il Cesena continua ad esistere ancora. Balestra stesso è una garanzia.

Se verranno confermate le cifre dei bilanci uscite ieri dalle stanze dei bottoni della spa, presto pubblici, che danno i debiti sopra i 100 milioni di euro e i crediti attivi sotto i 60 milioni, per un capitale circolante passivo di 47 milioni di euro circa, parlare di ‘sviluppo industriale’ sembrerebbe un po’ troppo eccessivo. Già stonerebbe l’eufemismo usato da noi nei giorni scorsi, “recupero”. No. Si tratterebbe a tutti gli effetti di ‘salvataggio’.
Che passerebbe, complice l’utile da 2 milioni realizzato a giugno 2012, per un aumento di capitale, secondo il ‘disegno’ di Balestra stesso.

Ma prima ci sono due altre piste da battere: quella delle banche e quella di Luca Mancini. Giorgio Lugaresi, forte di piano di sviluppo, dell’idea di lavorare sul progetto stadio e di un bilancio definitivo, gioca la sua partita con le banche per i 2,4 milioni di euro degli stipendi di febbraio.
La situazione è nera, per ora: la Cassa di Risparmio di Cesena non avrebbe intenzione di accettare le garanzie di 8,5 milioni di euro dei crediti della Lega sicuri al momento dell’iscrizione al prossimo campionato del Cesena, di fatto mettendo in dubbio la possibilità dei bianconeri di arrivarci, al prossimo campionato. E altre banche hanno risposto, più o meno, picche.

E allora, Mancini. Da sempre ci ha abituato a ‘mandrakate’ dell’ultimo momento. Certo, non è Proietti, ma la Cesena del film Febbre Da Cavallo si aspetta una ‘mancinata’.
Vengono in mente alcune parole dette dal dg, mentre si prepara per un viaggio in Cina: “Non vorremmo dover iniziare a relazionarci con banche fuori dalla Romagna, portando capitali utili fuori dal territorio”.

E dire che tutto parte da Artemide.
Dea della caccia, della gioventù, del movimento all’aria aperta. Fossimo moderni, sarebbe pure la dea del fitness.
Sì, se c’è una dea veramente Olimpica, lei lo è. Artemide, la cacciatrice. Brutta fine fanno tutti quelli che se ne invaghiscono. O solamente incontrandola. Tramutati in cervi, uccisi. Tramutati in cervi, quindi uccisi.
Dea della natura selvaggia, Jung la contrappone all’artificiale Atena: intipendente, indomita. Non ha bisogno del maschio per realizzarzi. Una femminista in un mondo dove se eri una bella ragazza, Zeus ti bollava o ci andava molto vicino.
L’evoluzione dell’arco è l’arma da fuoco: Artemide diventa Martha Jane Canary-Burke, ‘Calamity Jane’. Anche lei ha un po’ problemi con gli uomini: innamorata di ‘Wild Bill’ Hickok, non si sa per certo se abbia o non abbia consumato. Ma sapeva sparare. Viaggiava gli States con lo show di Buffalo Bill sul Selvaggio West e sparava come se non ci fosse più un domani. La migliore. Roba da Olimpiadi. Ma avrebbe dovuto aspettare il 1988 prima di poter testare il suo Winchester, come donna, ufficialmente, in una rassegna olimpica. Tanta strada da Deadwood, Sud Dakota a Seul, Sud Corea. E, ostacolo più rilevante, morì nel 1903, un anno prima di poter assistere ai primi Giochi olimpici americani.

Già. Perché tutto parte da Artemide, ma la donna che spara viene sdoganata solo alle Ventiquattresime Olimpiadi. Carabina tre posizioni da 50 m, carabina ad aria compressa da 10 m, pistola da 25 m, pistola ad aria compressa 10 m, trap e skeet. Per trap e skeet classifica unica maschi e femmine: ancora toccherà aspettare Atlanta con la double trap e Sidney perché vengano fatte due classifiche. Dopotutto Artemide forse faceva bene a prendersela con i vari Orione, Atteone, Adone e compagnia bella.

Ma di queste Diane cacciatrice olimpiche che da Seul in poi sgomiteranno nell’eterna battaglia dei sessi, ma senza arma bianca, nella storia italiana brilla la luce di una romagnola, Pia Lucia Baldisserri. Spara per la Tav Rimini Pia, ma vive tra Forlì e Cesena. Inzia a gareggiare a metà degli anni ’70 e si distingue nell’81 agli Europei di Mosca, ottava individuale e bronzo a squadre nel piattello fossa universale. Vince il bronzo europeo individuale l’anno dopo a Montecatini, mentre nell’83 a Bucarest bissa i risultati di Mosca. Nel 1984 è bronzo squadre e decima individuale all’Europeo di Saragozza, terza al Gran premio delle Nazioni a Montecatini e poi vince il primo mondiale in Francia. L’anno dopo è doppio oro europeo ad Antibes, oro anche nell’86 insieme a Morara e Gentiletti nel trap europeo di Montecatini e bronzo in fossa ai Mondiali di Suhl. Vince nell’87 il trap europeo di Casalecchio, quinta in fossa a Lahti, vince in Coppa del Mondo a Seul e argento nella finale di Valencia a squadre. Sono le prove tecniche per quello che sarebbe dovuto essere il suo capolavoro, un buon risultato alle Olimpiadi.

Se nei primi anni della sua carriera si era stagliata su tutte l’ombra della canadese ‘Sue’ Nattrass, sei titoli mondiali tra il ’74 e l’81, è comunque la romagnola la tiratrice da battere. E invece è proprio la “vecchia” Nattrass a strappare il miglior risultato: 141, 30esima, davanti alla spagnola Gemma Usieto, 140 e 33esima, alla fortissima cinese Gao E 137 e 40esima. Baldisserri è 46esima, “medaglia di legno” nelle donne. 134, davanti alla sola americana Carolyn Koch, a Matar Al Harti dell’Arabia Saudita e a Rodney Tudor-Cole dello Zimbabwe, che con 125 minimo ha rischiato di spararsi in un piede.

Ma Pia Lucia è eterna.
Talmente eterna che dieci anni dopo vincerà un oro mondiale. Come la collega Nattrass, che addirittura lo conquisterà a 56 anni nel 2006, stabilendo un record assoluto. Sempre eternamente precise. Come novelle Artemidi.

La Voce di Romagna, 24/07/2012