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AGLIARDI 5,5 Miracola e subisce gol. Cappella e subisce gol. Ha battezzato Martínez e gli nega il gol in più occasioni, ma non è esente da errori: ritorna il portiere dei tempi bolognesi, che alterna grandi interventi a patacate clamorose, quando già la partita era decisa. CICLTIMICO
DE COL 5 Difficilmente riesce a reggere il passo di chiunque si presenti dalle sue parti e crolla con il resto della difesa sotto le percussioni torinesi: in questo momento rischia anche di non essere abbastanza come rimpiazzo. INADATTO (Dal 46′ PERICO 5,5 Leggermente meglio di De Col, ma si entra anche dalle sue parti e, soprattutto, non se ne esce. SCHIACCIATO)
LUCCHINI 4,5 Quando capiremo che sia Caldara a far da chioccia a lui e a Capelli, sarà sempre troppo tardi: sovrastato da chiunque, oggi. FASE CALANTE
MAGNUSSON 4,5 Posizionamento sui calci piazzati ignobile e scarsa reattività, in area è un buco nero e quando il pallone passa dalle sue parti la singolarità lo spinge automaticamente in rete. STEPHEN HAWKING
RENZETTI 6,5 Costretto a chiudere sui centrali per manifesta incapacità, più guadagna minuti e più si conferma pezzo determinante per questa squadra, come non gli era riuscito nella passata stagione. SEMPRE PRESENTE
VALZANIA 5,5 Il campo gli manca e i recuperi difensivi sono lenti e difficoltosi, anche perché dalla mediana in poi in fase di possesso tende ad accentrarsi, proponendosi quasi come playmaker vista l’assenza di qualcuno in cabina di regia. Nel finale cancella le linee del campo con la lingua da tanto è stanco. DA RECUPERARE
CASCIONE 5,5 Tagliato completamente fuori dalla manovra offensiva, diventa inutile perché non va nemmeno a pressare sulla propria trequarti dato che ci si aspetta il press alto di Magnusson: a quel punto a cosa potrà mai servire lui? Nella ripresa, anche grazie al passaggio a 4 in mediana combina qualcosa in più, ma è fa poco filtro: quando il gioco si fa duro non è lui il capitano coraggioso che serve alla squadra. La rete sottomisura non basta perché in contropiede non riesce a contrastare i portatori di palla. SOLO IL GOL
TABANELLI 6 Encomiabile per volontà e grinta, ma se si parla di gioco tecnico – quello chiesto da Drago, fatto di tocchi e di pregio – gioca ad un altro sport. Non è la sua annata. E forse non lo era anche la scorsa stagione… viene il dubbio se Tabanelli, ad oggi, possa trovar posto in questa squadra. Ma nel nulla di oggi, la generosità fa la differenza. CUORE
MOLINA 5 Quando mi rendo conto che sta giocando lui si emoziona e calcia la palla in fallo laterale invece che in porta. IMBARAZZATO (RAGUSA 6,5 Gli basta poco riposo per entrare e fare la differenza: la qualità che può portare questo giocatore, da Drago utilizzato come un mero operaio, è potenzialmente infinita, e in mezzo alla mediocrità esalta e fa esaltare. PIETRA ANGOLARE)
ROSSETI 6 Bentornato: praticamente non ha occasioni di gioco, ma le poche che riesce a gestire lo vedono quantomeno guardare la porta avversaria. Ora è chiamato a far le cose serie, perché il gioco di Drago non può più prescindere dalle sue capacità. PRESSIONE (Dal 72′ SUCCI 5,5 I movimenti sono corretti, ma se non c’è gioco lui non può inventarselo: si crea una palla per puntare la porta, la sbaglia. SPUNTATO)
MONCINI 5,5 Il ragazzo non si è ancora fatto e dargli minuti non serve a farlo maturare dato che non è questa la sua categoria: in fase di recupero palla lotta, ma non vede la rete nemmeno quando va a pescare.  DA DARE IN PRESTITO

DRAGO 5 E la difesa sul secondo palo? E la fase di regia senza Sensi in campo? E le opzioni alternative? Ancora una volta si palesano i grandissimi limiti sulle alternative di gioco di questa squadra che, se messa in difficoltà nei suoi punti deboli, non è in grado di riprendersi. CROTONE O MORTE
AC CESENA 4,5 Il miglior difensore in campo è Maxi Lopez e la testa è a Crotone: senza snobbare la competizione, ma una squadra di serie B deve pensare prima di tutto al campionato di serie B. E poi… perché negare a Torino un derby di Coppa? Brutta figura in diretta Rai, brutto spot per una squadra che potrebbe dare molto di più. SVAGATO

Era da solo l’8 agosto del 2008 alle 11.07.
Solo, quando ha tagliato il traguardo.
Solo anche sul gradino più alto, con l’oro cinese al collo. Solo a 24 anni.
E ha scelto di rimanere da solo anche dopo.

Alex Schwazer ha deciso di stare da solo. Sopraffatto da se stesso. Da una pressione mediatica che ovviamente ha cercato anche lui. Pubblicità, una relazione da rotocalco con Carolina Kostner, certo molto più morigerata di altre da prima pagina. “Quante volte ho sentito dire che ho fatto troppe feste. Troppe pubblicità. Alex è scoppiato. Alex non ce la fa più. Questo è stato il mio mondo. Questo era quello che vivevo, giorno per giorno”.
Una realtà che lo sovrasta. Che lo umilia. Carolina vince. Alex si ritira. Carolina è l’angelo italiano dei pattini di ghiaccio. Alex ha mal di pancia. Carolina medaglia Carolina medaglia. Alex passa alla 20 km, ma non va oltre l’argento europeo e dei mondiali coreani nemmeno a parlarne.
Una realtà intollerabile: “Non puoi smettere. Se vinci sei il migliore. Se perdi sei un coglione. E questa non è la realtà”.

Ieri, a Bolzano, è andato in scena il vero spettacolo dello sport italiano: racconta la sua verità il marciatore sudtirolese, troppo “italiano” per i suoi concittadini che in più occasioni l’anno accusato di eccessivo patriottismo, seduto tra l’avvocato Brandstatter e l’agente Giulia Mancini. Ex vicecampione europeo. Ex campione olimpico. Ex qualsiasi cosa, a questo punto. Basta che sia ex. Basta che lo si possa cancellare dalla memoria.
Si è fatto di Epo. Ha ingannato tutti. Sparate al soldato Alex. Anche se non è soldato, se è carabiniere, sparategli comunque. O, come minimo, congedatelo con disonore… Fatto.
Sparategli perché siete per uno sport pulito. Sparategli perché siete per uno sport pulito, trasparente, onesto. Pazienza se il Coni dal 2007 non pubblica statistiche ufficiali sull’antidoping. Certo, mette alla gogna pubblica qualsiasi positivo, senza attendere le controanalisi, ma evita di far sapere con quale volume aumentano o diminuiscono i furbi. E quali e quanti sono i mezzi per contrastarli. Dai… se si sguazza in un mare fango, tutti possono far finta d’essere puliti. Basta che sparino contro il soldato Alex. Lo schutze Alex, per i germanofoni, i primi che stanno caricando i mauser.

Alex Schwazer. No, Alex. Alex e basta. Perché, attenzione, notizie dell’ultima ora: Alex Schwazer non esiste più. Non esiste più da Pechino. E ce lo dice proprio lui: “Questa non è la realtà”. Alex Schwazer non è reale. Qualcuno sostiene che non lo sia mai stato, e giù di speculazioni sui risultati passati, per i quali il marciatore si dichiara pulito: “Ho avuto un controllo antidoping il 13 luglio. Da quel momento in poi ho iniziato a far uso di Epo. L’ho comprata da solo e me la sono iniettata da solo – qualche giornalista dice che non ci si può farsi di Epo da soli… media drogati -: sono andato su internet e l’ho trovata in Turchia, senza bisogno di ricetta”.
Mamma, li turchi. Anzi… Mutti, li turchi. Perché anche con i genitori non va bene: “Io non voglio dare addosso a nessuno. Non voglio incolpare nessuno. Ma non mi è mai stato permesso di mollare. Non mi piace più marciare. Io lo dicevo, a casa. Mi rispondevano che dato che ero forte, dovevo continuare e vincere. Non volevo più marciare”.

Alex Schwazer marcia: marcia per la Federazione, per la mamma, per Carolina. Alex Schwazer marcia mentre Alex prepara il suo personalissimo “vaffanculo” a tutti. Compreso se stesso.
Perché, al contrario di Alex Schwazer, Alex è terribilmente reale.
“Ogni mattina, dopo le sei… io sapevo che potevano venire a farmi le analisi. E sapevo che potevo anche rifiutarmi di farle. In un anno puoi rifiutarti due volte. Ma io non mi sono mai rifiutato. E nemmeno quella mattina mi sono rifiutato, ben sapendo che mi avrebbero scoperto. Non ce la facevo più a mentire”.
E ha fatto la sua prima, vera scelta. Ha costruito un castello di menzogne (“Dicevo a Carolina che nel mio portapillole c’era vitamina B-12. Era Epo. Aspettavo che lei uscisse per allenarsi, mi chiudevo in bagno. E mi facevo di Epo”), lo ha elaborato per bene, lo ha distrutto aprendo una porta, accettando l’umiliazione pubblica, tirando un sospiro di sollievo.

Perché farsi di Epo? Autoumiliazione per essere coscienti di non contare nulla e avere una ragione per buttarsi via. Ansia da prestazione: “Non mi bastava arrivare decimo. Dovevo tornare a vincere. Sono sicuro che avrei vinto comunque, ma l’ho fatto lo stesso perché dovevo farlo. Perché mi giocavo tutto in una gara. Perché contava solo quella gara”. La voglia inconscia di farsi beccare per non essere obbligato a prendere atto di dover gettare la spugna.
Oppure, semplicemente, quando si arriva alla massa critica, serve iniziare a fingere. Fingere per impegnarsi a fingere. Per avere uno scopo: mantenere in vita ciò che non si è mai stati o non si è più per evitare di deludere, con la condanna che tanto deluderai comunque, ma a quel punto sarai tanto distrutto dentro che potresti anche non deludere te stesso. Perché “te stesso” è già morto.

Dal 2008 Alex ha vissuto una controvita: Alex ha raccontato ad Alex Schwazer e agli altri, gli amici di Alex Schwazer, gli allenatori di Alex Schwazer, i genitori di Alex Schwazer, la fidanzata di Alex Schwazer, che il mondo di Alex Schwazer era perfetto. Solo per sbatter loro in faccia che quel mondo perfetto gli faceva schifo. Per mostrargli la falsità che, in quel momento, solo lui vedeva.
Solo. La solitudine dell’atleta. Solo contro se stesso. Lì ha perso. Da stabilire quanto fosse solo veramente. Restano dei dubbi sul fatto che un ragazzo non ancora trentenne possa massacrarsi così senza che nessuno se ne accorga. O che lo assecondi. Un dubbio… uno solo, ecco.

Alex piange, in conferenza stampa. Flash. Alex ha un complesso di inferiorità per Carolina grande quanto il suo torto e, forse, il suo amore. Flash. Alex è, finalmente, finito. … Niente flash, qui.
Alex è finito. Carne morta Alex. Fra una settimana non farà più notizia. Di foto d’archivio ce ne sono già abbastanza.
Cosa cambierà? Nulla. Si continuerà con Federazioni vittime di se stesse, assolutamente inabili a creare gruppi di lavoro seri. Con un Coni in modalità caccia alle streghe che continuerà a massacrare gli atleti che si sono rivolti al professor Ferrari, assolto da Alex: “Non mi ha mai dato nulla. Ma era l’unico a fare programmi di allenamento professionali che non sfiancassero per nulla… l’unico con cui si potesse lavorare seriamente”. Ferrari, il nuovo male, quando ancora, nel 2012, guai a parlar male di Conconi, con i suoi ex-protetti sorprendentemente capaci di dettar leggi.
La storia ha deciso, ancora una volta, i sommersi ed i salvati.
Alex? Alex oramai non è nemmeno storia. Alex è una pausa. Una pausa che gli farà drammaticamente bene.
Una pausa che, ancora una volta, non servirà a nulla allo sport. Che colpevolizza tutti, meno se stesso.
E Petrucci, ancora una volta, finge che tutto sia normale. Ma non si può pretendere che un’anomalia riconosca se stessa come tale.

da La Voce Di Romagna, 09/08/2012 (integrazione)

Miranda Cicognani al volteggio

Piove.
Piove tanto.

Miranda Cicognani sulla trave

Solitamente non piove tanto in Finlandia.
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, la Finlandia non è poi così tanto fredda. Certo, siamo comunque in zona boreale, roba da 50 gradi sotto lo zero in inverno.
Olympiastadion, Helsinki, distretto di Töölö, 40mila spettatori per i primi giochi della Guerra fredda. Fecero tre villaggi olimpici: uno per gli atleti dei paesi alleati agli States, uno per gli atleti dei paesi alleati ai sovietici, con la prima storica partecipazione dell’Urss alle Olimpiadi, e uno quello per le donne. Già, perché alle donne non era mai interessata la realpolitik. Ingenuità della linea Passikivi. Fino a un certo punto poi, perché Juho Krusti Passikivi, presidente della Finlandia, era passato dal filo-lealismo all’anticomunismo dopo la Rivoluzione, al collaborazionismo con il nazismo durante la guerra di Continuazione, salvo poi trattare l’armistizio. Pace di Parigi nel ’47, entra nelle Nazioni unite nel ’55, ma dal ’48 ogni quattro anni fima un trattato di cooperazione con l’Urss. E’ un ballerino che si mantiene superpartes sempre, e lo fa anche durante questi giochi.I giochi dei due villaggi tra la cortina di ferro. O d’oro. O d’argento. O di bronzo. O di legno, se sei sfigato. Con Emil Zatopek e Horace Ashenfelter che se ne andavano a spasso a metà strada per scaricarsi prima di fare il record olimpico dei 5mila, 10mila e maratona il primo, comunista, e il record del mondo nei 3mila l’altro, yankee… mica a spiarsi a vicenda le diete. Le donne del terzo villaggio a far la calza, perché naturalmente loro non sono un problema per l’equilibrio dei poteri internazionali. Ah, gli anni ’50… quando fumare era fico.
Ma all’Olympiastadion, quel 19 luglio 1952, piove. E la Guerra fredda è l’ultimo problema. Anche le battaglie del femminismo, fatte di reggiseni bruciati e di sogni di future Mary Quant, sono l’ultimo pensiero. Perché lo sport apre, comunque, e le Olimpiadi sono la ribalta perfetta: lo furono per Sonja Henie, sedici anni da compiere, pattinatrice a Saint Mortiz ’28 con minigonna; lo sono stati per Miranda Cignonani, sedici anni da compiere, ginnasta a Helsiki ’52 con bandiera.Piove a Helsinki. E Miranda regge quella bandiera, donna per la prima volta a rappresentare un’intera nazione. La stoffa tricolore si appesantisce, il vento sferza l’asta di legno. La ginnasta, elegante e semplice bambina, sembra quasi Marsigliese rivoluzionaria, stagliandosi davanti a tutti. Viene dall’Edera Forlì, è già considerata la miglior azzurra in circolazione, sconda solo a Lidia Pitteri, che ha però 3 anni in più di lei. E’ la sola della provincia di Forlì-Cesena a scendere in gara, ma è in compagnia di un altro forlivese, Littorio Sampieri della Forti e liberi. Sesta nella competizione a squadre, insieme a Bianchi, Durelli, Reali, Bozzo, Scaricabarozzi, Macchini e Pitteri.

Diranno che Cignonani è la ragione per la quale le Olimpiadi del ’60 le hanno date all’Italia: hanno anche detto che Bartali aveva salvato l’Italia dalla guerra civile dopo l’attentato a Togliatti vincendo il Tour. Sport. Realpolitik. Ci sta.Dà via a nuove mode la Cicognani e fa sempre storia. A Montreal, nel ’76, è una dei giudici che dà 10, il primo, quando il massimo previsto anche dai tabelloni era 9,99, a quello scricciolo di potenza di Nadia Comaneci: diverrà il famoso 1,00 moltiplicato per dieci. Comaneci, una che con la politica ci andò anche a letto, nel vero senso della parola, ripensando a Nicu Ceausescu.

Miranda Cicognani alle parallele (foto L’Unità)

Mentre nel ’52 una bambina di Forlì era ferma, eretta tra venti di guerra, con una bandiera in mano sotto la pioggia.
Quando oggi certe bambine hanno paura che il braccino si stanchi a tenerla su.

La Voce di Romagna, 12/07/2012

“Ho giocato a Verona, Brescia, Bari. Squadre ‘condannate’.
Per loro è possibile solo un tipo di lotta: quella per non retrocedere”.
Florin Răducioiu di squadre che hanno lottato per la salvezza ne ha passate parecchie e sa cosa ci vuole per raggiungere quel piccolo angolo di paradiso che le “provinciali” ambiscono ogni maledetta domenica.
Romeno come Adrian Mutu, è l’interprete ideale per farci capire cosa sia mancato, tra “chimica” e risultati, al rapporto tra ‘Adi’ e il Cesena.

“E’ stata una scommessa molto azzardata del presidente Campedelli. Una scommessa che, per adesso, risulta persa. Adrian veniva da diverse difficoltà trovate a Firenze, con continui dissidi con Sinisa Mihajlovich. Forse si pensava che in una realtà più tranquilla come Cesena avrebbe dato il meglio, ma non è un giocatore che ‘funzioni’ in questa maniera”.

Che giocatore è?
“Premetto che ogni volta che vedo Mutu segnare nel campionato italiano, per me è un sogno che si realizza. Il calcio rumeno è sparito a livello europeo, e non parliamo a livello mondiale, e Adrian è l’orgoglio di una nazione intera: è uno dei pochi rimasti… uno di quelli che ce l’ha fatta, perché da sempre per noi il calcio italiano è un mito. Però è un calciatore immaturo, campione in negativo anche in Nazionale: non è in grado di mantenere un comportamento da vero leader”.

Si riferisce agli episodi fuori dal campo?
“La Romania perse 5-0 contro la Serbia: la risposta di Mutu fu di andare a fare baldoria al bar. Questo è il giocatore su cui il Cesena ha investito e su cui ha costruito la squadra”.

Qual’è il problema di Mutu?
“E’ una questione di cultura personale: ci vogliono personalità ed un certo grado di umiltà per calarsi nel ruolo del leader in una squadra provinciale. Mutu non ha nessuna di queste due caratteristiche. Non è un Hagi o un Baggio”.

Però Hagi ha avuto comunque un certo periodo di adattamento al Brescia: ci sono aneddoti di litigi con Domini particolarmente divertenti…
“Però quella fu una squadra che retrocesse e tornò immediatamente in serie A. E Gheorghe e Sergio sono rimasti ancora in ottimi rapporti. Ci sta che ci sia un periodo di adattamento, ma poi la grandezza del vero campione viene fuori. Anche in Nazionale questo è stato chiesto ad Adrian, ma se n’è sempre fregato: ha da sempre la convinzione che un campione lo faccia unicamente la tecnica e l’essere bravo per lui è una scusante. Ma non lo è più nel calcio moderno”.

Florin Răducioiu ora ha aperto una scuola calcio per giovani, La Pendolina, nel bresciano. Tira su bimbi da avviare al mondo del pallone, mondo che lo ha esaltato e lo ha pure tirato giù.
Non è stato IL fenomeno, Raducioiu. Difficile esserlo in anni in cui, solo nella sua Romania, si doveva confrontare con Gheorghe Hagi, però detiene un record praticamente unico: è l’unico calciatore ad aver segnato almeno un gol nei cinque più prestigiosi campionati europei, tra Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Spagna.
Classe ’70, Florin ha iniziato la sua carriera alla Dinamo Bucarest, vincendo due coppe di Romania e un campionato, per poi arrivare al Bari. Poi un anno appannato a Verona e l’esplosione al Brescia di Lucescu. La grande occasione arriva nel ’93-’94 al Milan, ma gioca poche partite e Capello non lo vede: riesce comunque a vincere Campionato, Champions e Supercoppa Italiana, prima di emigrare in Spagna.
Idolo di Mai Dire Gol per le reti sbagliate e i divertenti lisci, è stato un grandissimo pilastro della Nazionale romena arrivando a portarla fino ai quarti di Usa ’94, eliminando l’argentina e rischiando il colpo grosso con la Svezia, perdendo ai rigori.

E ha ancora qualche lezione da dare.
E non solo ai bambini, almeno stando all’età stampata sul passaporto.

La Voce di Romagna, 17/03/2012

La Voce di Romagna, 19/01/2012 (foto Orlando Poni)

Ieri pomeriggio, in tribuna, sedeva sereno come un monaco tibetano (prima di darsi fuoco) Yohan Benalouane. Il difensore, dopo aver visto la sua futura squadra, l’A.J. Auxerre, perdere sabato 1-3 con l’A.S. Nancy-Lorraine con doppietta dell’ex di turno Daniel Niculae, si è decisamente ricreduto sul finale di stagione in Ligue 1. E allora, pensa ‘Ben’, chi glielo fa fare di andare in Francia in una squadra che lotta per la salvezza e sobbarcarsi il peso della difesa accanto a Willy Boly, rilevando il 33enne Nazionale svizzero Stéphane Grichting, rischiando di fallire in patria, quando può stare qua a Cesena e far danni comunque?

In realtà la sua speranza è chiudere una trattativa con il Parma, rimanendo in Italia, facendo obbiettivamente un salto di qualità, senza eccessive pressioni e allontanandosi da Cesena, una piazza che non l’ha né amato né capito. Sul reparto centrali il Cesena pare abbastanza a posto, ora che anche Moras ha fatto vedere che è tutto fuorché un birillo.

Certo è stata una bella sorpresa per il presidente Campedelli vedendoselo tornare davanti, bello come il sole e contento come una pasqua di stare seduto sulle comode poltroncine “padronali” del Manuzzi. Per il Cesena la trattativa è conclusa: il difensore è dell’Auxerre. Per l’affabile Benalouane sembra proprio di no.