Si tratta solo di organizzazione aziendale.
Organizzazione aziendale e management.
Tu prendi un leader per guidare un team.
Se non hai la possibilità di coltivartelo in casa, lo vai a cercare fuori. Possibilmente un vincente.
Sei in serie B, prendi il leader regista della squadra promossa in serie A la stagione prima. Prendi Manuel Iori.
Lui nicchia, perché Cesena non è che sembri venir su tanto bene. Ma tra tre Campedelli (Senior, Junior e Pro) si fa presto a trovare un accordo: “Tranquillo, bèll: ti costruiamo un gruppo solido al fianco – gli dice Senior -. Ti mettiamo la fascia di capitano e tu ci riporterei dove dobbiamo stare”. “Vai a Cesena” sorride, affabile ma inamovibile, Pro, che continua a sorprendere col Chievo anche se non se ne parla più.
Così, dopo qualche giorno di ritiro con i bianconeri, Manuel arringa: “Ho scelto Cesena perché è stata la squadra che mi ha cercato con più insistenza. Avevo conquistato con il Torino la serie A, ma sono pronto per ripetermi”. Leggasi: mi hanno mandato qui dal Chievo, quindi cercherò di fare nuovamente il meglio per andare il prossimo anno in serie A… con o senza il Cesena. E, ancora: “Il gruppo è nuovo, costituito da tanti giovani. C’è voglia di fare un grande campionato, anche se la serie B è molto difficile. Attualmente ci sono 4-5 squadre che sulla carta sono in vantaggio, ma noi contiamo sulla forza del gruppo”. Leggasi: qui non hanno soldi ma la vedo fattibile perché quest’anno il livello del campionato è veramente basso.
Solo che un conto è avere di fianco Basha e Stevanovic, un conto il Tabba e Djokovic.
E Manuel Iori non ha ancora dimostrato di essere leader. E sabato, dopo la partita, uno che leader lo è nonostante sia venuto qua per fare la riserva, ampiamente sottovalutato, lo ha richiamato: “E’ ora che chi è stato portato a Cesena per fare la differenza, la faccia”. Posto che non si riferisse a Gianni Bamonte, i sospetti ricadono su Iori, contestato a fine partita dai tifosi.
Iori che ha scoperto, da quando è a Cesena, di non essere un leader completo. Di non essere in grado di caricarsi sulle spalle un’intera squadra, facendo sì che anche l’ultimo degli scarsi, seguendo il suo esempio e charmizzato dal suo carisma, riesca a galvanizzarsi quel tanto che basta dal superare i limiti tecnici e compiere quel miracolo, la performance, che è lo zero sportivo definitivo. E permette piccoli miracoli.
Non si faccia conto su Iori. Drammatico, ma in fase di mercato invernale un’alternativa potrebbe essere proprio quella di farlo partire. Perché non è questo il suo posto. Se una maestranza si accorge che il team leader non è in grado di performizzare il gruppo, o gli cambia il gruppo, o cambia il leader. Per il bene suo e dell’azienda. E‘ organizzazione aziendale. E’ Tabatha Mani di Forbice, ma meno chic. Nulla di più.
Perché il problema è intorno al team. Una squadra che non funziona. Con escandescenze nello spogliatoio. Belardi sbaglia in un punto: dice che la leadership è una dote che viene con i risultati. No. Quella è la paraculite. Che in Italia da troppo tempo continua ad essere scambiata per attitudine al comando.
“Chi è stato acquistato per dare di più, deve dare di più!” attacca l’estremo difensore. Ricordarsi che chi è stato acquistato per dare di più, fino a prova contraria Iori e Succi, che per un istante aveva illuso di essere ciò che non è, ovvero un calciatore integro, è stato il primo a lamentarsi del precedente allenatore. Ricordarsi che chi è stato acquistato per dare di più, , chiunque sia, si è fatto espellere nelle prime tre giornate, affossando un gruppo ancora di più del necessario.
Quando si sente la frase: “Ognuno deve ammettere i propri errori”, e non è un capitano a dirlo, nel mondo del calcio un allenatore muore. E non ci sono battiti di mani che lo riportano in vita. E’ il primo passo verso il baratro. E’ segno che sta per partire il regolamento di conti nel team. Perché vuol dire che i panni sporchi sono usciti dallo spogliatoio, ed è raro trovare una lavanderia a gettoni se si piange miseria. E, comunque, quando poi ti porti il fagotto con i panni, ti sgamano subito.
“Serve sacrificio perché sarà un campionato sporco”. La chicca del a fine gara. La frase ad effetto. La solita linea di difesa bisoliana: fare il capitano coraggioso che sente i fischi della contraerea e si calca l’elmetto sulla testa.
Sudore e merda, dunque.
Ma non è una novità.
Di sudore, tanto. Ma la merda è ancora lì. E nessuno si è chinato a mangiarla, anche se sabato pomeriggio il ‘Bela‘ ha provato a servirne una generosa porzione, aiutato dai tifosi che scelgono di tornare a parlare di calcio giocato con i calciatori.
E’ l’ultima mossa.
Verona è uno spartiacque. Il primo della stagione.
Che piaccia o no.
Ci sarà sudore. E ci sarà merda. Ancora una volta.
Buon appetito a tutti.