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“Già è positivo che non abbiamo perso: in una partita come questa sarebbe stato facile” (M. Drago, 8-12-2015)

Si fa dura se si inizia a ragionare così.
Si fa dura e non si va da nessuna parte se il massimo della vita, in un qualsiasi momento del campionato del Cesena, sia pareggiare con il Trapani.
Si fa dura se l’allenatore inizia a ‘piangere’ in conferenza stampa che manco è finito dicembre, quando è al quinto posto in classifica.
La “piccola crisi” è ufficializzata, con cinque punti raccolti in sei giornate: per ora come uscirne spetta a Drago, ma è vero che questa situazione è figlia anche di come è stata costruita la squadra.

LE PROBLEMATICHE LEGATE A DRAGO
Manca la prima punta | Il Cesena sceglie di lasciare alla Samp Alejandro Rodríguez e Drago non si oppone alla cessione: nelle gerarchie di ruolo rientra così Djuric, messo ai margini per tutta la preparazione. Rosseti, al netto dell’infortunio, si dimostra meno determinante di quello che si pensava e tocca impostare la squadra su un calciatore non adatto al gioco di quella squadra.
☆ Problemi in difesa | Molina provato per tutta la preparazione come terzino destro, ora non riesce più a rinascere nel suo ruolo di esterno avanzato. Perico diventa il titolare fisso, senza ricambio per manifesta incapacità di De Col: cresce, ma l’esterno avanzato di turno è costretto a rientrare continuamente per supportarlo, usurandosi… Perico in campo costa parte del rendimento di Ragusa o Ciano, insomma.
☆ La rotazione degli interni | In un centrocampo a tre Drago deve far convivere praticamente solo interni o interni adattati da esterni. Il dualismo Sensi-Cascione non funziona in nessuna accezione del 4-3-3 già dalle primissime uscite, Kone non si integra, non c’è spazio per Valzania… e vedere in Tabanelli un’alternativa vuol dire avere esaurito le idee.
☆ La prevedibilità del modulo | Bloccati gli esterni con il raddoppio si rallenta la manovra bianconera, a maggior ragione se non in condizione. Sensi con Kone o Cascione non è in grado di amministrare gioco efficacemente, quindi ci si ferma a vie centrali. Con Djuric in cambio la palla lunga sortisce qualche effetto, ma il giochino finisce lì.
☆ Calci piazzati | Fisicamente sovrastati in fase difensiva e gestione poco produttiva dei corner.
☆ Mentalità | Sta soffrendo le pressioni della piazza e del passato: lo si capisce da come si è precipitato negli spogliatoi ieri pomeriggio, da come risponde nelle ultime conferenze stampa e da come si conferma incapace di strappare risultati pesanti fuori casa. Trasmette paura.

LE PROBLEMATICHE LEGATE A FOSCHI
Manca la prima punta | Rosseti, volenti o nolenti, non è il terminale offensivo che tutti si aspettavano e nemmeno Ciano, ad oggi, giustifica il sacrificio economico fatto.
☆ Il rapporto con l’Atalanta | Il fatto che i suoi ex collaboratori Faccenda e Corti lavorino a Bergamo aiuta i già ottimi rapporti con la Dea, ma si è comunque vincolati a seconde scelte di una squadra di terza fascia e a giovani scommesse – spesso obbligate nelle logiche degli scambi – non sempre vinte. Nel primo caso sarebbe forse ora di allargare il bacino di ‘pesca’, nel secondo allora tanto varrebbe puntare solo sul proprio settore giovanile.
☆ Lo staff inesistente | Uomo solo al comando, aiutato da Lele Valentini e da Maurizio Marin. Ma uomo solo al comando comunque… Non c’è un capo scout per il settore professionistico, non c’è un ‘futuro Rino Foschi’, il miglior operatore calcistico di Cesena – Gianni Rovereti – è stato snobbato dopo che si era offerto e ora è alla Fiorentina. Senza contraddittorio non c’è evoluzione: senza evoluzione si muore.

LE PROBLEMATICHE LEGATE ALLA DIRIGENZA
☆ Manca la prima punta | Svendere Rodríguez alla Samp per riparare agli errori fatti durante la fase di iscrizione ha complicato parecchio il lavoro di Foschi e di Drago.
☆ La scarsa lungimiranza | Si è puntato eccessivamente su un allenatore incapace di programmare sul medio-lungo periodo – Bisoli –, ma estremamente efficace nel monetizzare nel breve giocatori anche over 24 mai esplosi: questo però vanifica la logica di gruppo legato alla maglia – favorendo la corte pretoriana del mister – e si deve ogni anno riprogettare. Ma è colpa dei bilanci… La squadra è giovane, ma quanti di quei giovani sono di proprietà? A parte Sensi, nessuno.
☆ Nessuna autocritica | Proclami in fase crescente. Silenzi in fase calante. E mai che ci siano dei limiti propri: a turno è colpa della Lega, dei Tribunali, di Campedelli, della sfortuna, della squadra. Si allontanano le professionalità esterne e si premia la logica clientelare. Otto anni fa la conseguenza è stata… Campedelli. Già.

LE PROBLEMATICHE LEGATE A NOI
☆ Questo articolo | Quinto posto con una squadra praticamente nuova, un nuovo allenatore e Djuric considerato indispensabile… Dai, ma di cosa ci lamentiamo?
☆ Bisolismo | Abbiamo bisogno di trovare il condottiero per forza. Drago non lo è. È una persona pacata, mite, per la prima volta fuori dal suo contesto autoreferenziale: ha paura. E non serve caricarlo di responsabilità: le responsabilità, se devono essere imputate, ricadano su chi lo ha scelto. Compatti con il mister, ma serenamente: il Cesena esiste a prescindere da lui… creare miti non giova, si rischia solo di dividere chi li vuole adorare e chi li vuole abbattere.
☆ Aspettative | La squadra è stata costruita per la promozione, ma tra l’intenzione e il risultato passa un intero campionato. Più playoff, eventualmente.

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ph. Francesco Di Leonforte

© Gian Piero Travini

Rino Foschi e FC Bologna. Un amore proibito.
Non come quello tra Romeo e Giulietta. No.
Più come quello tra Romeo e Mercuzio. Che se leggi bene Shakespeare c’è. Ma eran tempi un po’ rischiosi per farne un prologo e cinque atti, quindi non se ne fece niente e vai di dinamiche tra giovani uomini e giovani donne.

Rino Foschi e Bologna FC, dunque. Uno storico gaudente romagnolo all’ombra delle Due Torri farebbe storcere il naso pure a noti ‘bipartisan’ del derby per eccellenza come Italo Cucci, ma non è che non ci siano stati avvicinamenti nel corso del tempo.
Correva l’ottobre 2012: Rino Foschi, a spasso da giugno dopo i due anni a Padova, si ‘confessò’ con Vittorio Longo e Ugo Mencherini a Il Pallone In Rete, su Radio Nettuno, mostrando interessamento per la causa emiliana.
Rossoblu lo diventò, ma sotto la Lanterna di Genova. Non se ne fece niente, insomma.

Cosa c’è di vero, ora, dalle voci di un avvicinamento degli emiliani all’attuale direttore dell’area tecnica del Cesena?
Di vero c’è che le radio emiliane e, di conseguenza, alcuni giornalisti la stanno spingendo molto come possibile soluzione, preferibile a Salvatore Bagni, attuale uomo mercato. E allora potrebbero aver preso le mosse dal pranzo che Foschi avrebbe avuto con il presidente del Bologna Albano Guaraldi una quindicina di giorni fa.
Il Cesena con il Bologna ha in piedi alcuni affari, tra cui quello legato alla compartecipazione su Damjan Đoković, quindi difficilmente Foschi poteva rifiutare l’invito. A questo pranzo Guaraldi avrebbe ribadito la sua proposta ‘matrimoniale’, avanzata già a gennaio. Foschi avrebbe nuovamente rifiutato, impegnato a chiudere la stagione con i bianconeri.

Perché non Bologna? Troppo indefinita la situazione societaria. Troppo incerte le posizioni finanziarie, con una compagine amministrativa alla ricerca di nuovi investitori e Zanetti sempre alla porta. Ecco. Zanetti potrebbe essere l’uomo in grado di riuscire a coinvolgere Foschi ma, ad oggi, la sua presenza a Bologna appare una boutade. Immediatamente smentita dallo stesso diesse.

Ma la sua presenza non è scontata a Cesena. Il progetto è in divenire e, nonostante gli stia regalando grandi soddisfazioni, lui stesso ha mostrato segni di stanchezza e nervosismo, esternati in diverse occasioni. Soprattutto bisognerà valutare la situazione societaria a fine stagione e se cambieranno le strategie finanziarie per quella successiva.
Di certo, l’ipotesi di Maurizio Marin plenipotenziario del mercato bianconero avanzata nei giorni scorsi sempre dai media legati alla realtà emiliana, lascia perplessi, anche alla luce dell’atteggiamento di AC Cesena spa nei confronti del dirigente, attualmente indagato a proposito dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Forlì sulla precedente gestione del Cesena calcio.

Ho un dubbio.
Luca Ricci, puntualmente intervistato dai quotidiani cesenati alla vigilia, sottolinea di essere deluso sotto il profilo umano dal trattamento ricevuto dal Cesena. La risposta della società è stata quella di definirlo “un bambino viziato”.

Dominique Malonga, anche lui sentito dopo Vicenza-Cesena, dopo aver realizzato una doppietta alla sua ex squadra, si sfoga contro tutta la dirigenza bianconera, Campedelli escluso. Lo fa anche in campo, battendosi la mano sul petto e urlando in francese “Ora sapete quanto valgo”. La risposta della società è stata quella di limitarsi al linguaggio gestuale.

Insomma, c’è delusione tra quelli che non ci sono più rispetto alla dirigenza che ha scelto di allontanarli. E può starci. Eppure, in settimana, gli stessi giornali e tifosi hanno fatto notare che sembra quasi che ci sia scorno anche da parte di quelli che sono rimasti. Peggio, di quelli che sono stati convinti a venire. Pochi, a dire il vero, mentre tanti i “No, grazie”. E chissà quanti i “No” senza “grazie”… o i silenzi imbarazzati.

E a quelli che sono rimasti, o che sono arrivati e che, nonostante la forza e il carisma di Bisoli, continuano ad avere la faccia di chi non ha esattamente capito che cosa ci faccia a Cesena… a quelli, cosa risponderà la società?
“Manderemo via quelli che non hanno la faccia da Cesena”, si disse in sessione di mercato invernale nella stagione passata. Ma, esattamente, quale è la “faccia da Cesena”? Perché se è tipo quella di Iori ad Ascoli, a gennaio in parecchi potrebbero fare le valigie.
E, questa volta, non è detto che sia per mancanze dei giocatori stessi.
Ammesso e non concesso che fosse loro la faccia sbagliata anche l’anno scorso, piuttosto che quella di chi li ha scaricati.

La Voce di Romagna, 30/09/2012 (integrazione)

Menti. Conferenza stampa post-partita.
Alla domanda del collega Bertozzi a proposito di un mercato che ha tolto una punta al Cesena, dopo che la tal punta aveva appena stramazzato i bianconeri con una doppietta, Campedelli Jr. ha risposto: “Siamo oggettivamente pochi, ma io devo allenare quelli che ho”.
Questa frase riguardante la situazione dell’attacco dopo la partenza di Malonga, fino ad ora è rimasta un po’ sotto traccia, ma in quelle parole c’è l’essenza del Cesena dei fratelli Campedelli, fratelli Campedelli contro cui il popolo dei tifosi online si sta scagliando. Mentre l’interrogativo che andrebbe posto, prima di fare della critica, è se il Cesena sia veramente dei fratelli Campedelli. Nel senso dei limitati poteri di quello che siede in panchina.

Da quella risposta, data in una sala stampa di uno stadio fatiscente ma che conserva la dignità di una città intera, è palese che l’incisione di Junior sul mercato bianconero dell’ultimo minuto sia stata molto limitata. Due giorni dopo, Maurizio Marin annuncia in tv la chiusura del mercato dando l’impressione che il tecnico sia un po’ fuori dai giochi: prenda quello che passa il convento e provi a mettere in pratica i suoi propositi… “Devo allenare quello che ho”.

E’ chiaro che, nonostante la parentela col presidente, non sia Nicola a reggere i cordoni della borsa. Non è lui a tenere i conti. Se gli si possono imputare problemi di ordine tattico, più passa il tempo e più rischia di essere fantascienza pensare che possa aver valutato essenziale la partenza di Malonga. Di conseguenza, permangono dubbi anche quanto possano aver inciso le sue idee su quella di Cori.
Quindi, quello che scende in campo ogni maledetto sabato, potrebbe non essere semplicisticamente il Cesena dei fratelli Campedelli, come se la parentela portasse a confondere i ruoli. Ma è sempre di più il Cesena di uno dei fratelli Campedelli. E della dirigenza accanto a quel fratello.

A vederla positiva c’è che quella dirigenza rimane per ora confinata fisicamente in tribuna vip, nonostante divenga sempre più pesante la sua longa manus sulla panchina, compensando la mancanza di giocatori. Infatti, nel caso scappassero gestacci, nessuno di loro correrebbe il rischio di un’espulsione: alla peggio arriverebbe un applauso di scherno.

La Voce di Romagna, 06/09/2012

“Mimmo, bumaye”.
Mimmo, uccidilo. Che sia Luca Mancini, che pare abbia risposto alle sue urla di rabbia francofone con un meno francese gesto dell’ombrello. Che sia Maurizio Marin, che lo ha concesso in prestito con diritto di riscatto al Vicenza, agevolando una doppietta che Malonga non realizzava dal ’75. Che sia Gabriele Valentini, che non ho la minima idea di cosa si stia occupando in società in questo momento ma sono sicuro che in serie B il concetto di “dirigente dell’area sportiva” sia denso di significato tale che servono menti elette anche solo per arguirne la portata. Che sia lo stesso Malonga, quello indolente, che non corre in allenamento, che ha dinamite nei piedi ma sembra un invertebrato quando fa finta di muoversi. Quello che, si spera per loro, i vicentini non conosceranno mai, ma che qui a Cesena ha fatto sempre dannare.
Sia chi sia, Mimmo, uccidilo.
Come Ali ha ucciso Foreman, come Mancini ha ucciso Minotti, ieri Mimmo ha ucciso il Cesena. Che già non è che fosse poi molto in forma.

Di nuovo 4-4-2 per Junior. O 3-5-2. O 4-3-3. Dipende chi è che guarda la partita. Ma, ehi, tranquilli: non è che cambi molto. La realtà, oltre l’universo del pressapochismo tattico, è che si soffre soprattutto a centrocampo, dove solitamente trae forza la manovra del Cesena, con i 5 in linea del Vicenza che fanno e disfano.
Gessa è sacrificato spesso indietro a fare il terzino d’appoggio per l’arrembante Tonucci, al debutto, nonostante si pensasse a spendere la pedina Bamonte alla vigilia, con una difesa che anche se viene spacciata per linea a 3 è in realtà costantemente a 5. Tabanelli è quindi spesso attivo in fase di proposizione, mentre Iori deve costruire, e da quelle parti è roba per Spirit cavalli selvaggi, ma il Vicenza è compiacente e bussa raramente, preferendo penetrare dolcemente la verginità della fascia sinistra bianconera, con Favalli ancora troppo timido per essere proposto in una situazione in cui deve guardarsi sia da Mustacchio che da Malonga, pronto ad incunearsi tra l’ex compagno di squadra e Caldirola, con il completo disinteresse di D’Alessandro. Può anche essere il male minore l’esterno sinistro, ma va innescato prima della trequarti, altrimenti non è in grado di scrollarsi di dosso i raddoppi, che questa sera ci sono e si sentono, anche se con una settimana di ritardo stando alle visioni di Campedelli del dopo-Sassuolo. Purtroppo dipende tutto dal lavoro di Iori, missionario nel deserto quando Minesso e Di Matteo salgono in fase difensiva dietro Malonga, tagliando le gambe alle ripartenze bianconere con Tabanelli impossibilitato ad appoggiare. E se bisogna giocare per lui, in questo momento l’unico in grado di far male, allora si giochi costantemente per lui.

Di nuovo tanti, tanti limiti con i centrali difensivi. Nei due gol è palese la poca intesa tra Ravaglia e il duo Caldirola-Brandao: il portiere forlivese continua poi a non essere signore dell’area piccola, come dimostra il gol di Misuraca. E prima o poi qualcuno dovrà iniziare a parlare anche di panchina. L’inserimento di Pinardi, con una linea offensiva a quattro per spostare il baricentro, cambia l’inerzia della partita: arriva il raddoppio e sembrerebbe finita, ma D’Alessandro conferma di essere come il nemico degli X-Men, il Fenomeno: nessuno può fermarlo, palla al piede, prima della tre quarti.
Con l’espulsione di Succi si passa al 4-3-1-1, specialità di Junior al Bellaria quando rimaneva in inferiorità, portando comunque a casa qualche punticino: D’Alessandro passa dietro a Graffiedi e Iori è costretto a fare come la Curva, a macinare chilometri, per tamponare le fuoriuscite dalle parti del pupo Favalli, che però cresce, proponendosi pure. Il Cesena riesce portare pure la partita su certi binari potenzialmente produttivi, ma Breda la capisce e blinda il risultato con l’ingresso di Giani: poi, la caratura della manovra e un ex ex-giocatore fanno la differenza.

Qualcosa di buono si vede: Caldirola inizia ad alzare la voce in difesa, spiegando a Brandao come si debbano seguire le diagonali offensive, e per il capitano dell’U21 è un segno di buona volontà; Gessa e Iori sono già in ritmo campionato; se Graffiedi si porta via l’uomo il giochino, elementare e semplice, funziona… ma i limiti tecnici sono insormontabili a meno che qualcosa non cambi. Ne faccia le spese Tabanelli, lasciando il posto al cagnaccio nero Parfait, e pazienza l’indolenza supposta di quest’ultimo: già una volta il Cesena si è giocato un colored perché giudicato indolente, e una doppietta al Menti ha fatto più male di una semplice impresssione di settembre. E si rimetta al più presto Comotto in terzina destrorsa, catechizzando dall’altra parte Favalli che ha dei numeri, e parecchi, ma ha comunque perso la faccia in quel vicentino. E, infine, davanti si ammetta che Graffiedi non è uomo da 90′, ma da 65′ una volta e 25′ l’altra, che con i primi freddi inizia a soffrire di noie muscolari con tempi di recupero storicamente dilatati, mentre Succi è un giocatore che non ha ancora recuperato perfettamente dall’infortunio, né fisicamente né mentalmente, ripensando alle dichiarazioni durante la settimana dove suggeriva Junior di cambiare modulo: se pensasse a non appoggiare gomiti in faccia come un attaccante dei giovanissimi provinciali nel derby Sarsinate-Due Emme già sarebbe un passo avanti. Se LolLapadoola ha il ginocchio sifulo, si investa sull’AttanTurk Turchetta. Seriamente.

Ma, per ora, la differenza la fa lui, Mimmo, che nuovamente lotta con il Cesena. Contro il Cesena. Che nuovamente lotta, via, una piacevole novità per chi ama il calcio.
“Mimmo, bumaye”. Mimmo, uccidilo.
Anche perché se la difesa maggiore del Cesena è il vaffanculo di Mancini, continua a buttar male.

La Voce di Romagna, 02/09/2012 (integrazione)

Vita in una casa di vetro. Dove ognuno può vedere tutto.
L’armonia. I malesseri.
I malesseri.

La casa di vetro bianconera non è mai stata così trasparente come ora.
Senza Parolo. Senza Comotto. Senza Guana. Il centrocampo ai tempi del colera. O quasi.
Privo di molti baluardi che tra limiti e incomprensioni hanno comunque portato un minimo di positività ad un undici sin da inizio anno praticamente improponibile in termini di cuore, sudore e concretezza, il Cesena muore ancora una volta.
Non basta Martinho: senza i problemi di competenze condivise con il centrocampista di Gallarate è rigenerato, regge la squadra sulle squadre, svaria-corre-lotta-tira-sbatte-scorna.
Ma a cosa serve? Davanti chi c’è? Un talento di nome Dominique, un diamante nero serafico come la Pantera Rosa ma meno furbo. No. Servirebbe un esorcista a questa squadra.
Servirebbe Milingo, altroché Malonga.
E forse non basterebbe nemmeno lui, perché i demoni della casa di vetro sono ovunque. Nell’errore di Tommaso Arrigoni, titolare in A a diciotto anni, che regala la palla a Bogdani per far involare Calaiò. Quel passaggio strozzato, quasi come se l’albanese volesse renderla più facile al vecchio compagno di squadra Ceccarelli che non al nuovo. Ma il ritorno in campo del romagnolo oscura il futuro in un solo, disperato, sbagliato, ridicolo tackle. Uno dei più scontenti della stagione, in termini di minutaggio e non solo, scontenta per una volta di troppo la serie A romagnola.
I demoni ridono.

Ma dentro la casa di vetro si piange?
Nella casa di vetro bianconera, dove le serate in noti ristoranti diventano grottesche leggende,  il miracolo di Antonioli su Terzi rende tutto ancora più duro da digerire.
Cala la notte. La strana notte di un sole di marzo.
E nella strana notte di un sole di marzo si leva un grido dipinto, tenuto in serbo forse da troppo.
“Non ci sono giustificazioni… Tutti fuori dai coglioni!”, Mare inferiore, 81′ dell’11 marzo 2012.
Lo senti nell’aria.
Il sarcasmo del dio Pallone.
Chi dai “coglioni” già si è tolto, fortuna sua tanto quanto sciagura di chi lo ha permesso, è lo stesso che ha chiuso il campionato in A del Cesena.

Non c’è spazio per le contestazioni nella casa di vetro.
Il tentativo c’è. Il wolfpack di tifosi bianconeri è lì, aspetta uno per uno i calciatori e li copre di rabbia.
Ceccarelli. Malonga. Rossi. Rizzitelli, che porta sfiga. Moras.
Ma è la casa di vetro. E nella casa di vetro non ha senso dire ad alta voce quello che non va, perché lo vedono tutti. E allora meglio far finta di non vedere.
E, prima che passi il pullman bianconero, i tifosi se ne vanno.
Se ne vanno.
Nel caso non fosse chiaro: se ne vanno.
Capiscono che non ha più senso nemmeno protestare. E’ la riconferma di un’impressione già maturata: lo sconforto è tale e il senso di sconfitta così palpabile che non ha nemmeno senso prendersela. Ed è questo il vero calcio in bocca alla squadra.
E alla società.
Eccolo lì, il “pentapartito” bianconero: Campedelli, Bulbi, la TrinMità Mancini-Minotti-Marin. In silenzio, il “pentapartito” guarda oltre la zona mista per capire quale sia il miglior momento per andarsene.
E se il miglior momento è quando non c’è nessuno, beh… allora butta veramente male.
Perché nella casa di vetro, tutti sono soli, anche se nessuno lo è veramente.

La Voce di Romagna, 12/3/2012 (aggiornato)

E’ il 2012. E nel 2012 si gioca al calcio del  2012.
Ogni città ha il suo calcio del 2012.

A Torino il più forte giocatore d’Italia degli ultimi vent’anni viene trattato come un cencioso dall’ultimo arrivato in dirigenza. A Roma ci sono le bandiere che divengono nono e decimo re, Totti e De Rossi. A Genova c’è un campo che fa diventare birilli fragili i giocatori della lazio e novelli Plushenko quelli del Genoa.

A Cesena ci sono piadina e squacquerone. E “l’ignoranza”. Che assurge a valore sportivo, dopo lo sdoganamento ufficiale di Igor Campedelli poco prima del mercato invernale, a mo’ di curiosa antifona. Via chi non ha la faccia giusta. Dentro gli ignoranti. Dunque: Santana sarebbe ignorante. Così come Iaquinta e Del Nero. Un dubbio: più che ignoranti,  forse ignorati. Dalle squadre da cui provengono, senza ombra di dubbio.

Il 2012 del Cesena. Eder. Non ha la faccia giusta. Via. Candreva. Non ha la faccia giusta. Via.
Già. Candreva. Che il karma mette davanti questa sera proprio ai bianconeri.
Non era in linea con lo “spirito Cesena”. Il diesse Marin lo ha ribadito recentemente in tv: “Ci siamo privati di giocatori che non si erano ben calati nella realtà cesenate, e abbiamo cambiato progetto. Candreva è tecnicamente un grandissimo giocatore, ma gli mancava qualcosa nel carattere”. Di quel qualcosa, non se ne parla, quindi rimane il sospetto che fosse poco ignorante. E che questo “tecnicamente un grandissimo giocatore” passi quasi come un difetto, nello “spirito Cesena”. Perché nel 2012 il Cesena si salva con l’ignoranza, non con la tecnica.

Un’avvisaglia c’era stata di questo poco feeling di Candreva con l’ignoranza: Cesena-Novara, Mascara a terra, il centrocampista fa partire il contropiede (già, perché faceva anche questo, a Cesena. Non era ignorante, ma creava gioco), si accorge dell’avversario dolorante e calcia fuori il pallone. Non tutti hanno gradito.

Questo è il giocatore che stasera nell’anticipo dell’Olimpico prenderà il posto di Hernanes nella Lazio per cercare di arginare la marea d’ignoranza bianconera.

La Voce di Romagna, 09/02/2012

inedito (foto Orlando Poni)

Nicola Pozzi e Gianni Munari sono gli obiettivi per il direttore generale bianconero Luca Mancini e per il diesse Maurizio Marin. Il primo, nato a Santarcangelo e cresciuto a San Vittore, a uno sputo da Cesena, è la prima punta ideale per la squadra di Daniele Arrigoni e, soprattutto, ha già esperienza della realtà romagnola (dal 2002 al 2004): non ha intenzione di muoversi dalla Sampdoria, in serie B… certo non per tornare a casa… e non è un bel segno. Munari, classe ’83, ha due anni in più di Marco Parolo ed è il suo sostituto naturale, con meno talento: con il suo arrivo, Marco potrebbe partire per Roma sponda Lazio. Ma nemmeno Munari vuole sbarcare a Cesena.

Intanto, Vangelis Moras è il primo acquisto del Cesena. Ha vestito per quattro anni la maglia del Bologna, portando alla promozione in serie A dei rossoblu nel 2004. Con lui in campo il Cesena ha perso due volte e pareggiato una: la cabala qua va di moda.

A una squadra cui servono gol, un difensore può risultare utile come una Fender Telecaster ad un batterista metal-core. Eppure, una logica c’è: si tutela un eventuale infortunio dei centrali difensivi senza correre il rischio di vedere Marco Rossi e Yoahn Benalouane in campo contemporaneamente, hai una piccola alternativa nel ruolo di terzino destro e puoi permetterti di vendere lo stesso Benalouane, che par aver un minimo di mercato in più di Rossi. E, soprattutto, hai pronto il rimpiazzo per Steve Von Bergen a giugno.