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“Già è positivo che non abbiamo perso: in una partita come questa sarebbe stato facile” (M. Drago, 8-12-2015)

Si fa dura se si inizia a ragionare così.
Si fa dura e non si va da nessuna parte se il massimo della vita, in un qualsiasi momento del campionato del Cesena, sia pareggiare con il Trapani.
Si fa dura se l’allenatore inizia a ‘piangere’ in conferenza stampa che manco è finito dicembre, quando è al quinto posto in classifica.
La “piccola crisi” è ufficializzata, con cinque punti raccolti in sei giornate: per ora come uscirne spetta a Drago, ma è vero che questa situazione è figlia anche di come è stata costruita la squadra.

LE PROBLEMATICHE LEGATE A DRAGO
Manca la prima punta | Il Cesena sceglie di lasciare alla Samp Alejandro Rodríguez e Drago non si oppone alla cessione: nelle gerarchie di ruolo rientra così Djuric, messo ai margini per tutta la preparazione. Rosseti, al netto dell’infortunio, si dimostra meno determinante di quello che si pensava e tocca impostare la squadra su un calciatore non adatto al gioco di quella squadra.
☆ Problemi in difesa | Molina provato per tutta la preparazione come terzino destro, ora non riesce più a rinascere nel suo ruolo di esterno avanzato. Perico diventa il titolare fisso, senza ricambio per manifesta incapacità di De Col: cresce, ma l’esterno avanzato di turno è costretto a rientrare continuamente per supportarlo, usurandosi… Perico in campo costa parte del rendimento di Ragusa o Ciano, insomma.
☆ La rotazione degli interni | In un centrocampo a tre Drago deve far convivere praticamente solo interni o interni adattati da esterni. Il dualismo Sensi-Cascione non funziona in nessuna accezione del 4-3-3 già dalle primissime uscite, Kone non si integra, non c’è spazio per Valzania… e vedere in Tabanelli un’alternativa vuol dire avere esaurito le idee.
☆ La prevedibilità del modulo | Bloccati gli esterni con il raddoppio si rallenta la manovra bianconera, a maggior ragione se non in condizione. Sensi con Kone o Cascione non è in grado di amministrare gioco efficacemente, quindi ci si ferma a vie centrali. Con Djuric in cambio la palla lunga sortisce qualche effetto, ma il giochino finisce lì.
☆ Calci piazzati | Fisicamente sovrastati in fase difensiva e gestione poco produttiva dei corner.
☆ Mentalità | Sta soffrendo le pressioni della piazza e del passato: lo si capisce da come si è precipitato negli spogliatoi ieri pomeriggio, da come risponde nelle ultime conferenze stampa e da come si conferma incapace di strappare risultati pesanti fuori casa. Trasmette paura.

LE PROBLEMATICHE LEGATE A FOSCHI
Manca la prima punta | Rosseti, volenti o nolenti, non è il terminale offensivo che tutti si aspettavano e nemmeno Ciano, ad oggi, giustifica il sacrificio economico fatto.
☆ Il rapporto con l’Atalanta | Il fatto che i suoi ex collaboratori Faccenda e Corti lavorino a Bergamo aiuta i già ottimi rapporti con la Dea, ma si è comunque vincolati a seconde scelte di una squadra di terza fascia e a giovani scommesse – spesso obbligate nelle logiche degli scambi – non sempre vinte. Nel primo caso sarebbe forse ora di allargare il bacino di ‘pesca’, nel secondo allora tanto varrebbe puntare solo sul proprio settore giovanile.
☆ Lo staff inesistente | Uomo solo al comando, aiutato da Lele Valentini e da Maurizio Marin. Ma uomo solo al comando comunque… Non c’è un capo scout per il settore professionistico, non c’è un ‘futuro Rino Foschi’, il miglior operatore calcistico di Cesena – Gianni Rovereti – è stato snobbato dopo che si era offerto e ora è alla Fiorentina. Senza contraddittorio non c’è evoluzione: senza evoluzione si muore.

LE PROBLEMATICHE LEGATE ALLA DIRIGENZA
☆ Manca la prima punta | Svendere Rodríguez alla Samp per riparare agli errori fatti durante la fase di iscrizione ha complicato parecchio il lavoro di Foschi e di Drago.
☆ La scarsa lungimiranza | Si è puntato eccessivamente su un allenatore incapace di programmare sul medio-lungo periodo – Bisoli –, ma estremamente efficace nel monetizzare nel breve giocatori anche over 24 mai esplosi: questo però vanifica la logica di gruppo legato alla maglia – favorendo la corte pretoriana del mister – e si deve ogni anno riprogettare. Ma è colpa dei bilanci… La squadra è giovane, ma quanti di quei giovani sono di proprietà? A parte Sensi, nessuno.
☆ Nessuna autocritica | Proclami in fase crescente. Silenzi in fase calante. E mai che ci siano dei limiti propri: a turno è colpa della Lega, dei Tribunali, di Campedelli, della sfortuna, della squadra. Si allontanano le professionalità esterne e si premia la logica clientelare. Otto anni fa la conseguenza è stata… Campedelli. Già.

LE PROBLEMATICHE LEGATE A NOI
☆ Questo articolo | Quinto posto con una squadra praticamente nuova, un nuovo allenatore e Djuric considerato indispensabile… Dai, ma di cosa ci lamentiamo?
☆ Bisolismo | Abbiamo bisogno di trovare il condottiero per forza. Drago non lo è. È una persona pacata, mite, per la prima volta fuori dal suo contesto autoreferenziale: ha paura. E non serve caricarlo di responsabilità: le responsabilità, se devono essere imputate, ricadano su chi lo ha scelto. Compatti con il mister, ma serenamente: il Cesena esiste a prescindere da lui… creare miti non giova, si rischia solo di dividere chi li vuole adorare e chi li vuole abbattere.
☆ Aspettative | La squadra è stata costruita per la promozione, ma tra l’intenzione e il risultato passa un intero campionato. Più playoff, eventualmente.

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ph. Francesco Di Leonforte

© Gian Piero Travini

“Mimmo, bumaye”.
Mimmo, uccidilo. Che sia Luca Mancini, che pare abbia risposto alle sue urla di rabbia francofone con un meno francese gesto dell’ombrello. Che sia Maurizio Marin, che lo ha concesso in prestito con diritto di riscatto al Vicenza, agevolando una doppietta che Malonga non realizzava dal ’75. Che sia Gabriele Valentini, che non ho la minima idea di cosa si stia occupando in società in questo momento ma sono sicuro che in serie B il concetto di “dirigente dell’area sportiva” sia denso di significato tale che servono menti elette anche solo per arguirne la portata. Che sia lo stesso Malonga, quello indolente, che non corre in allenamento, che ha dinamite nei piedi ma sembra un invertebrato quando fa finta di muoversi. Quello che, si spera per loro, i vicentini non conosceranno mai, ma che qui a Cesena ha fatto sempre dannare.
Sia chi sia, Mimmo, uccidilo.
Come Ali ha ucciso Foreman, come Mancini ha ucciso Minotti, ieri Mimmo ha ucciso il Cesena. Che già non è che fosse poi molto in forma.

Di nuovo 4-4-2 per Junior. O 3-5-2. O 4-3-3. Dipende chi è che guarda la partita. Ma, ehi, tranquilli: non è che cambi molto. La realtà, oltre l’universo del pressapochismo tattico, è che si soffre soprattutto a centrocampo, dove solitamente trae forza la manovra del Cesena, con i 5 in linea del Vicenza che fanno e disfano.
Gessa è sacrificato spesso indietro a fare il terzino d’appoggio per l’arrembante Tonucci, al debutto, nonostante si pensasse a spendere la pedina Bamonte alla vigilia, con una difesa che anche se viene spacciata per linea a 3 è in realtà costantemente a 5. Tabanelli è quindi spesso attivo in fase di proposizione, mentre Iori deve costruire, e da quelle parti è roba per Spirit cavalli selvaggi, ma il Vicenza è compiacente e bussa raramente, preferendo penetrare dolcemente la verginità della fascia sinistra bianconera, con Favalli ancora troppo timido per essere proposto in una situazione in cui deve guardarsi sia da Mustacchio che da Malonga, pronto ad incunearsi tra l’ex compagno di squadra e Caldirola, con il completo disinteresse di D’Alessandro. Può anche essere il male minore l’esterno sinistro, ma va innescato prima della trequarti, altrimenti non è in grado di scrollarsi di dosso i raddoppi, che questa sera ci sono e si sentono, anche se con una settimana di ritardo stando alle visioni di Campedelli del dopo-Sassuolo. Purtroppo dipende tutto dal lavoro di Iori, missionario nel deserto quando Minesso e Di Matteo salgono in fase difensiva dietro Malonga, tagliando le gambe alle ripartenze bianconere con Tabanelli impossibilitato ad appoggiare. E se bisogna giocare per lui, in questo momento l’unico in grado di far male, allora si giochi costantemente per lui.

Di nuovo tanti, tanti limiti con i centrali difensivi. Nei due gol è palese la poca intesa tra Ravaglia e il duo Caldirola-Brandao: il portiere forlivese continua poi a non essere signore dell’area piccola, come dimostra il gol di Misuraca. E prima o poi qualcuno dovrà iniziare a parlare anche di panchina. L’inserimento di Pinardi, con una linea offensiva a quattro per spostare il baricentro, cambia l’inerzia della partita: arriva il raddoppio e sembrerebbe finita, ma D’Alessandro conferma di essere come il nemico degli X-Men, il Fenomeno: nessuno può fermarlo, palla al piede, prima della tre quarti.
Con l’espulsione di Succi si passa al 4-3-1-1, specialità di Junior al Bellaria quando rimaneva in inferiorità, portando comunque a casa qualche punticino: D’Alessandro passa dietro a Graffiedi e Iori è costretto a fare come la Curva, a macinare chilometri, per tamponare le fuoriuscite dalle parti del pupo Favalli, che però cresce, proponendosi pure. Il Cesena riesce portare pure la partita su certi binari potenzialmente produttivi, ma Breda la capisce e blinda il risultato con l’ingresso di Giani: poi, la caratura della manovra e un ex ex-giocatore fanno la differenza.

Qualcosa di buono si vede: Caldirola inizia ad alzare la voce in difesa, spiegando a Brandao come si debbano seguire le diagonali offensive, e per il capitano dell’U21 è un segno di buona volontà; Gessa e Iori sono già in ritmo campionato; se Graffiedi si porta via l’uomo il giochino, elementare e semplice, funziona… ma i limiti tecnici sono insormontabili a meno che qualcosa non cambi. Ne faccia le spese Tabanelli, lasciando il posto al cagnaccio nero Parfait, e pazienza l’indolenza supposta di quest’ultimo: già una volta il Cesena si è giocato un colored perché giudicato indolente, e una doppietta al Menti ha fatto più male di una semplice impresssione di settembre. E si rimetta al più presto Comotto in terzina destrorsa, catechizzando dall’altra parte Favalli che ha dei numeri, e parecchi, ma ha comunque perso la faccia in quel vicentino. E, infine, davanti si ammetta che Graffiedi non è uomo da 90′, ma da 65′ una volta e 25′ l’altra, che con i primi freddi inizia a soffrire di noie muscolari con tempi di recupero storicamente dilatati, mentre Succi è un giocatore che non ha ancora recuperato perfettamente dall’infortunio, né fisicamente né mentalmente, ripensando alle dichiarazioni durante la settimana dove suggeriva Junior di cambiare modulo: se pensasse a non appoggiare gomiti in faccia come un attaccante dei giovanissimi provinciali nel derby Sarsinate-Due Emme già sarebbe un passo avanti. Se LolLapadoola ha il ginocchio sifulo, si investa sull’AttanTurk Turchetta. Seriamente.

Ma, per ora, la differenza la fa lui, Mimmo, che nuovamente lotta con il Cesena. Contro il Cesena. Che nuovamente lotta, via, una piacevole novità per chi ama il calcio.
“Mimmo, bumaye”. Mimmo, uccidilo.
Anche perché se la difesa maggiore del Cesena è il vaffanculo di Mancini, continua a buttar male.

La Voce di Romagna, 02/09/2012 (integrazione)